ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di ricorso per Cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di diritto di cui al n. 3 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., non può essere prospettato ponendo in discussione l’attività valutativa del giudice di merito (che, nel caso di specie, avrebbe considerato come dimostrati fatti semplicemente allegati dal contribuente) bensì, prospettando l’errore del Giudice nella sussunzione dei fatti all’interno dei paradigmi normativi indicati o nella falsa applicazione delle disposizioni evocate.
E’ questo il principio statuito dalla Corte di Cassazione, Sez. VI, nell’ordinanza n. 25295 depositata il 28.11.2014.
Il provvedimento in esame è interessante per un duplice motivo.
Il primo è che probabilmente è questa la prima volta che trova applicazione la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2) secondo periodo del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ossia di quella parte della norma che si riferisce ai “compensi” e che statuisce l’estensione della presunzione utilizzabile per gli imprenditori, ai quali originariamente la norma era indirizzata, anche ai liberi professionisti.
La vicenda prende le mosse dal ricorso proposto alla Commissione Tributaria Provinciale da un lavoratore autonomo, cui era stato attribuito un maggior reddito a seguito di una verifica.
Respinto il ricorso dalla Commissione Tributaria Provinciale il contribuente proponeva appello alla Commissione Tributaria Regionale che procedeva all’annullamento della rettifica dell’ufficio sui redditi del lavoratore autonomo.
Avverso tale decisione insorgeva l’Agenzia delle Entrate che proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Ebbene, gli Ermellini hanno respinto il ricorso dell’amministrazione finanziaria, poiché infondato soprattutto alla luce della sentenza n. 228 del 2014 della Consulta che ha ritenuto costituzionalmente illegittima la norma sulle indagini finanziarie laddove preveda una presunzione legale di maggiori compensi se il professionista non sia in grado di fornire indicazioni sui prelevamenti.
Il secondo motivo è che la Corte di Cassazione ha ribadito il ridotto ambito del vizio di motivazione censurabile con ricorso in Cassazione ex art. 360, n.5, c.p.c, come modificato dall’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ai ricorsi proposti avverso provvedimenti depositati successivamente all’11 settembre 2012.
Infatti, l’Agenzia delle Entrate si doleva del fatto che la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale fosse viziata anche da omessa o insufficiente motivazione poiché non si comprendevano le ragioni della ritenuta non imponibilità delle movimentazioni bancarie contestate al contribuente.
La Suprema Corte rifacendosi ai principi espressi dalle Sezioni Unite nelle sentenze nn. 8053/2014 e 8054/2014 e ribaditi anche nella decisione, sempre a sezioni unite, n. 19881/2014, ha ritenuto che, rileva unicamente i fini del vizio rimodulato dalla L. 7.8.2012, n. 134 su citata, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, cioè la pretermissione di quei dati materiali, acquisiti e dibattuti nel processo, aventi portata idonea a determinare direttamente un diverso esito del giudizio.
Il Supremo Collegio ha considerato anche questa censura inammissibile poiché la Commissione Tributaria Regionale nel caso de quo non ha affatto omesso di esaminare la questione in virtù del fatto che ha ritenuto idonea la documentazione prodotta dal professionista in giudizio ai fini del superamento della presunzione evocata dall’ufficio.
Da ciò discende che la motivazione di merito data dalla Commissione Tributaria Regionale non può essere sindacata in sede di legittimità ed il ricorso è stato, pertanto, rigettato.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 2/2014